BIBBIA
Vuoi reagire a questo messaggio? Crea un account in pochi click o accedi per continuare.
BIBBIA

Vangelo Chiesa Verità
 
IndiceIndice  Ultime immaginiUltime immagini  CercaCerca  RegistratiRegistrati  Accedi  

 

 5. 10 COMANDAMENTI

Andare in basso 
AutoreMessaggio
[Alberto]
Admin



Messaggi : 149
Data di iscrizione : 05.03.12

5.	10 COMANDAMENTI Empty
MessaggioTitolo: 5. 10 COMANDAMENTI   5.	10 COMANDAMENTI EmptySab Apr 11, 2020 4:41 pm

1° Comandamento
"Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù; non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acquae sotto terra. Non ti prosterai davanti a loro e non li servirai". (Es 20,2-5)

Sta scritto: "Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto"". (Mt 4,10).
Adorerai il Signore
L'uomo è propenso non solo a cadere nei vizi attraverso le concupiscenze, ma ad innalzare le stesse a propri idoli. Del resto, nessuno può con le sue forze sfuggire alle tentazioni che possono generare, se non controllate, desideri irrefrenabili e cupidigie. Per sconfiggerle con successo e non cadere in colpevoli distrazioni, occorre fissare la volontà e l'impegno su questo nobile traguardo.

Anche il sentimento umano non sfugge alla legge della fermezza e della volontà. Ogni Amore per rimanere tale deve essere, difatti, alimentato in ogni istante del proprio esistere, altrimenti le distrazioni, allontanando il pensiero e le promesse di fedeltà, lo faranno decadere nel dimenticatoio.

Se come è stato affermato, il pensiero è all'origine dell'agire, allora è necessario mantenerlo privo di distrazioni per non lasciarlo libero di essere catturato da tutto ciò che transita sotto i nostri sensi. In tal caso il nostro agire non potrà dipendere dal volere del nostro libero arbitrio ma si assoggetterà alle bramosie.

Il Vitello d'Oro
Or il popolo, vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte, si radunò presso Aronne, e gli disse: "Su via, facci un dio che vada innanzi a noi, perché di questo Mosè, l'uomo che ci ha tratti dall'Egitto, non sappiamo che cosa ne sia stato" ... Ed Egli li prese dalle loro mani, ne fuse l'oro e ne formò un vitello. Ed essi esclamarono: "O Israele, questo è il tuo dio, che ti ha liberato dall'Egitto!" [...] Quando Mosè vide il popolo sfrenato, poiché Aronne li aveva lasciati abbandonare all'idolatria, diventando così ludibrio dei suoi avversari, si fermò sulla porta del campo e gridò: "Chi è per il Signore? ... A me!". E si raccolsero intorno a lui i figli di Levi. Egli ordinò a loro: "Ha detto il Signore Iddio d'Israele: Ciascuno di voi si metta la spada al fianco: andate in giro per il campo, da una parte all'altra, e ognuno uccida il fratello, l'amico, il parente". I figli di Levi fecero secondo la parola di Mosè: e in quel giorno perirono fra il popolo circa tremila uomini.

Il popolo che era stato portato come su ali di aquila verso il loro Dio, come pure era stato liberato dalla schiavitù degli Egiziani, quello stesso popolo che aveva affermato: "Noi faremo tutto quello che ha detto il Signore", ora si era creato un idolo: il vitello d'oro.

Gli idoli, anche se non è possibile raffigurarli, sono espressioni delle nostre bramosie, ci possono incatenare al loro volere per renderci schiavi e divenire, infine, l'unica ragione del nostro vivere. Innumerevoli possono essere i nostri idoli: il potere, il denaro, il sesso, il successo, le opere del genio umano, l'affermazione di sé, tanto per citarne alcuni. I nostri idoli possono coesistere con la fedeltà a Dio? Evidentemente no: "Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro, o preferirà l'uno e disprezzerà l'altro: non potete servire a Dio e a mammona". (Mt 6,24).

"Io sono il Signore tuo Dio".
In ogni istante possiamo recepire la presenza di Dio, nella melodiosità del gorgoglio dell'acqua sorgiva, nella soavità del profumo dei fiori, nel sussurro del venticello primaverile, ma anche nel meraviglioso fascino della natura tutta che, rigogliosa, canta i Suoi prodigi: dall'umile stelo d'erba, alla scintillante stella del firmamento, dall'insignificante granello di sabbia, all'immensità degli spazi siderali, dalla piccola goccia di rugiada, all'immensità dei mari.

"Non avrai altro Dio all'infuori di me".
È un comando per non crearsi idoli e diventarne schiavi. Non dobbiamo alzare altari a dèi non veri come fece il popolo d'Israele. Solamente in Dio possiamo ritrovare il fine di ogni azione e il senso di ogni fine. È il nostro Creatore, il nostro Salvatore, Colui che ci ama, il senso e il fine della nostra vita.

Solamente chi riesce ad essere unito a Dio con costanza attraverso la preghiera saprà rimanere libero dagli dèi del mondo. In Lui scopriremo il vero Amore ed impareremo ad essergli fedeli per poterci realizzare in questa vita e mettere una seria ipoteca su un'eternità di gaudio.

Il primo comandamento è un atto di amore verso noi stessi in quanto ci rivela la via per essere autenticamente uomini o donne. Tutti i peccati nascono dal peccato di idolatria, ossia nel credersi dio in tutto quello che è opera dell'uomo: i soldi, la carriera, il potere, il sesso, il proprio corpo, lo sport ecc.

"Questo comandamento che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: chi salirà per noi in cielo per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è al di là del mare, perché tu dica: chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicino a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica". (Dt 30, 11-14).


2° Comandamento
È scritto: "Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano".
(Es 20,7; Dt 5,11)

Fu detto agli antichi: "non spergiurare" ... Ma io vi dico: "non giurerai affatto".
(Mt 5,33-34).
Non nominare il nome di Dio invano
Il secondo comandamento proibisce di nominare il nome di Dio invano come avviene con la bestemmia e il linguaggio volgare associato al nome di Dio, oppure con un falso giuramento. Si nomina il nome di Dio invano quando si bestemmia, quando si impreca con odio o di sfida contro il cielo, quando si usano contro Dio parole irriverenti e scandalose, oppure semplicemente quando si parla del Signore con leggerezza, ironia, mancanza di rispetto o inutilmente e a sproposito, senza senso, per tornaconto, per rabbia o per disprezzo.

Si nomina il nome di Dio invano anche quando ci comportiamo in modo contrario agli insegnamenti del Vangelo. Infatti come può un figlio dire al padre: "Ti voglio bene, ti onoro, ti servo con amore", se poi lo offende con le opere? Perché non è pronunciando: Signore, Signore, che si ama Dio, ma nel compiere le sue opere: "Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico?" (Lc 6,46) Infatti: "Non chiunque mi dice: Signore, Signore! Entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli" (Mt 7,21).

Il Nome del Signore è Santo, è Potente, Venerabile, Benedetto e Sacro, per questo deve essere pronunciato con fede, amore, rispetto, devozione e riconoscenza. Solo allora quel Nome diventa energia poiché chi colloca Dio a conferma delle proprie azioni, non può commettere comportamenti contro Dio, anzi ne testimonia con la vita il suo amore.

Se è vero che chiunque invoca il nome del Signore con fede e segue i Suoi insegnamenti sarà salvato, è altrettanto vero che chi bestemmierà il nome di Dio sarà condannato. Non sarà perdonato chi pecca contro lo Spirito Santo, poiché chi rifiuta Dio, rifiuta la Vita. Perché è la fede che salva. Ma come può aver fede chi bestemmia Dio con atti e con parole?

È stupido accusare Dio quando la vita ci presenta il conto con le sue fatiche e sofferenze, perché esse sono causate nella maggioranza dei casi dal peccato dell'uomo e dal male che c'è nel mondo. Molti sono convinti che Dio si rallegra nel punire chi non osserva la sua legge invece, è proprio nelle difficoltà o nella sofferenza che Dio accorre accanto a chi ne richiede l'intervento.

Anche il falso giuramento è cosa grave verso Dio, in quanto significa prendere Dio come testimone di quello che si afferma. Quando il giuramento è veritiero e legittimo, mette in luce il rapporto della parola umana con la verità di Dio, mentre il falso giuramento, chiama Dio ad essere testimone di una menzogna. "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti. Ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi" (Mt 5,33-35).

La bestemmia
è esplicitamente proibita dal secondo comandamento: non nominare il nome di Dio invano. È un'irriverenza usare il nome di Dio come riempitivo, come intercalare e simile. Ma, più che irriverenza, è grave peccato, è bestemmia imprecare a Dio, qualificare Dio con parole cattive, avvilenti, infamanti. La bestemmia è un peccato tristissimo e stupidissimo. Tristissimo, perché nulla vi è di più triste che insultare il Creatore, il Padre, l'Onnipotente, stupidissimo, perché non procura, come altri peccati, qualche utile, qualche piacere, qualche soddisfazione al bestemmiatore. Purtroppo, bestemmiare sembra una esclusiva dei cristiani, e sembra essere un privilegio particolare dei latini. I buddisti non bestemmiano Buddha, né i maomettani Allah, né gli idolatri i loro idoli: solo il cristiano bestemmia il suo Dio, che è Dio di verità e di amore. Invece di amarlo, lo maledice e lo bestemmia.

Chi invece sfoga la propria rabbia con il nome dell'Altissimo, attribuisce al Signore tutto il male, e così ogni bestemmia diventa anche una grande menzogna. La differenza che trasforma il sacrilegio in culto è invocare Dio per mettere in fuga Satana o chiedere l'aumento della grazia contro le potenze del male. Nominarlo così non è peccato, anzi, diventa occasione di bene e di crescita spirituale. Dio perdona ogni persona purché veda sorgere nella creatura il pentimento e la volontà di non peccare più.

Se Eva, nella tentazione del Serpente che la invitava a disubbidire al comando di Dio e di mangiare dall'albero della conoscenza del bene e del male, avesse chiamato Dio, sicuramente Egli sarebbe venuto e il demonio sarebbe fuggito. Allora perché Dio non era stato chiamato? Sicuramente perché Eva aveva creduto di poter farne a meno e diventare come Dio nella conoscenza del bene e del male.

Anche noi talvolta, nelle avversità, nella sofferenza, nelle tribolazioni, crediamo di poter fare a meno di Dio e di lottare da soli, eppure ci è stata data la possibilità di chiedere a Dio l'aiuto necessario invocandone il Suo Santo Nome, perché allora non approfittarne e dubitare della Sua bontà?

3° Comandamento
"Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro".
(Es 20,8-11)

Ricordati di santificare le feste
Sabato nel vocabolo ebraico, vuol dire "cessazione": quindi "sabatizzare", ossia "cessare" e "riposarsi". Il settimo giorno ricevette il nome di sabato, appunto perché, compiuto l'universo cosmico, "Dio benedisse il giorno settimo e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro servile che operando aveva creato".
(Gn 2,3).

In questo comandamento ci viene indicata una prescrizione in senso positivo, ossia di ricordarci del settimo giorno, di osservarlo e di astenerci dal lavoro per la santificazione del sabato. Secondo le indicazioni bibliche, il lavoro rappresenta quello che gli uomini svolgono abitualmente, la ragione per la quale Dio li ha messi sulla terra. Il giorno di sabato era, ed è tuttora, per il popolo d'Israele, il giorno consacrato al Signore: giorno di assoluto riposo per dedicarsi esclusivamente al culto di Dio, con la lettura dei testi sacri e la preghiera. Per i cristiani il giorno del Signore non è più il sabato, ma la domenica, perché in questo giorno, "il primo dopo il sabato" (Gv 20,19), è risuscitato Gesù ed è iniziata una nuova era. La risurrezione, infatti, è la vittoria di Cristo sulla morte, la sconfitta di Satana, il compimento delle Scritture.

La ragione essenziale per osservare il sabato è che si tratta di un giorno santo, cioè che appartiene a Dio. Di fatto la decisione divina ci dona la chiave per comprendere il significato del sabato. Questo tempo ci è necessario per mettere al centro della nostra vita la ricerca di una relazione con Dio. Ricerca che dà un senso a tutto il resto e che ci permette di rompere il giogo di schiavitù che ci lega all'opera delle nostre mani.

Dio ha messo un richiamo alla nostra condizione di creature, un invito a fermarci periodicamente e ritornare alla Sorgente della vita, in quanto la vita, contiene miriadi di possibilità allettanti: come trovare il tempo per fermarci ed avere quel distacco necessario per fare una scelta, per scoprire se vogliamo veramente fare le cose che noi facciamo? Malgrado le nostre pretese, non siamo i creatori dell'universo e arriverà un giorno in cui questo diventerà ovvio.

La Chiesa di Dio trasportò la ricorrenza festiva del sabato alla domenica, perché in questo giorno, per la prima volta, brillò la luce sul mondo e in esso, in virtù della risurrezione del Redentore che aprì l'adito alla vita eterna, la nostra vita, affrancata dalle tenebre, fu ricondotta nelle regioni della luce. Perciò gli Apostoli lo chiamarono "giorno del Signore". "Lungi dal sostituirsi al sabato, la domenica ne è dunque la completa realizzazione e, in un certo senso, l'estensione e la piena espressione, in riferimento al cammino della storia della salvezza, che ha il suo apice in Cristo"
(Giovanni Paolo II, Lettera apostolica "Dies Domini", 31 maggio 1998).

Giorno del Signore
La domenica ci dà l'occasione, per ritrovare il senso della misura, per riequilibrare le scelte che trascinano la nostra vita da un impegno all'altro e di compiere l'opera di Dio e di credere in Colui che Egli ha mandato (Gv 6,29). Contro la tentazione di amare solo noi stessi e di credere perduta ogni ora che non sia dedicata a produrre ricchezza e ad accontentare il corpo, ci viene offerta una sosta che ci dà modo di pensare a Dio, a noi stessi, alla famiglia. Infatti, come afferma Gesù nel Vangelo, ciò che conta nella vita è salvare la nostra anima: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?".
(Mc 8,36).

Dice il Signore: "In quel giorno non farete nulla: né tu, né tuo figlio, né tua figlia, il tuo servo o la tua serva, il tuo giumento e il tuo ospite che è in casa tua". Con queste parole siamo avvertiti di evitare assolutamente quanto può ostacolare l'esercizio del culto divino. Si intuisce, infatti, che è vietato ogni genere di lavoro servile, non davvero perché questo sia per sua natura disonorevole e malvagio, ma perché ci allontana da quel culto divino che rappresenta lo scopo del precetto. A maggior ragione, i fedeli, dovranno evitare in quel giorno i peccati, che non solamente distraggono lo spirito dall'esercizio delle cose divine, ma ci separano radicalmente dall'amore di Dio!

Non è perdere tempo usare il tempo per Dio, anzi è guadagnarlo. Dio ci ha dato la vita e ci offre la vita eterna. Chi ama Dio riceve quella divina sapienza che lo aiuta a non perdere tempo per cose inutili. Ricordiamo le parole di Gesù: "Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? Se dunque non avete potere neanche per la più piccola cosa, perché vi affannate del resto?" (Lc 12,25-26); "Non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello... Quanto a voi, perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati; non abbiate dunque timore: voi valete più di molti passeri!... Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà".
(Mt 5,36; 10,30-31; 10,39).

La prima parola della formula è "Ricordati"; il culto e l'ossequio religioso a Dio, formulati in questo comandamento, sgorgano infatti dal diritto di natura, essendo proprio la natura che ci spinge a consacrare qualche ora al culto di Dio. È un comando salutare, sia per il corpo che per lo spirito, per concedere un po' di tempo allo spirito affinché si rinfranchi nel pensiero di Dio. Perciò gli Apostoli stabilirono che fra i sette giorni il primo fosse consacrato al culto divino e lo chiamarono giorno del Signore.

Il pieno valore del comandamento esige che l'uomo ponga tutte le sue energie perché, nei giorni fissati, lontano dagli affari e dal lavoro materiale, possa attendere al pio culto del Signore e al mistico riposo, nei quali si celebra la rinascita dell'uomo nuovo a vita nuova. Coloro che erano avvolti nelle tenebre ora sono luce nel Signore e procederanno sui sentieri della bontà, della giustizia, della verità, come figli della luce, astenendosi dal partecipare alle insane opere delle tenebre.

Gli affanni della terra, quando sono eccessivi, sono un pericolo e possono creare effetti sempre più negativi. È imprudenza il volersi forzare a continua attività per guadagnare sempre di più; al riguardo disse Gesù ad un uomo avaro e materialista: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio" (Lc 12,20-21). È per questo che Dio ci educa alla saggezza per mezzo della sua sapiente e amorosa Parola. I suoi comandi non limitano la nostra libertà, ma, anzi, la espandono e la conducono nella direzione giusta, verso la fonte della vita, dell'amore, della pace, della gioia.

La domenica è soprattutto il "Giorno del Signore", da santificare con la preghiera, l'ascolto della Parola, la riflessione personale, la carità fraterna, il culto della Messa, il nutrimento dell'Eucarestia. È il giorno che celebra la risurrezione di Cristo, il giorno solenne dell'assemblea cristiana in cui Gesù spezza ancora il pane con noi e ci comunica il suo amore. È l'incontro con la Persona che amiamo e dalla quale siamo amati, poiché nell'Eucarestia, Gesù ci dona veramente il suo Corpo, il suo Sangue, la sua Parola, il suo Spirito, la sua Anima, la sua Divinità. È il giorno della fede in cui comprendiamo che cosa dobbiamo fare per avere la vita eterna.

La festa è un grande dono di Dio per l'uomo. Dio stesso si è riposato il settimo giorno, perciò l'uomo, che rispecchia l'immagine di Dio, è chiamato a fare altrettanto e deve impegnarsi a farsì che anche i poveri possano godere del giusto riposo dalle attività quotidiane. La festa è una protesta contro le schiavitù del lavoro ed il culto del denaro.

E' necessario allora, che la festa torni ad essere non soltanto un giorno di riposo dal lavoro, ma il giorno nel quale si dà grande importanza alla gratitudine verso Dio e nel quale la vita riacquista quella bellezza che, durante i giorni feriali, viene inevitabilmente mortificata a causa della fatica del lavoro, dello studio, dei problemi della vita quotidiana.

Il sabato celeste poi, secondo il commento di san Cirillo al passo apostolico "E lasciato un altro sabato al popolo di Dio" (Eb 4,9), consiste in quella vita, nella quale, vivendo con Cristo, godremo di tutti i beni, essendo estirpata ormai, ogni radice di peccato, secondo il detto: "Non vi saranno leoni, non vi passeranno belve; ma ivi si aprirà una strada pura e santa" (Is 35, 8s). In realtà, lo spirito dei santi consegue nella visione di Dio tutti i beni. Santificare la festa vuol dire inserire nella vita terrena un ritaglio dell'infinita e sconfinata festa del paradiso, ossia nella domenica senza tramonto che ci impegna a seminare la festa del cielo, nei solchi della nostra esperienza umana.

Nei giorni festivi i cristiani devono andare in Chiesa per assistere alla santa Messa, per avere l'incontro gioioso con il Signore e, attraverso la parola del Vangelo, ritrovarsi come i discepoli di Emmaus con il cuore che ardeva nel sentire parlare Gesù. Anche noi possiamo durante la Messa incontrare il Signore Gesù: egli ci fa ascoltare la sua Parola e, come ha fatto con i pescatori del lago, con Levi e con il giovane ricco, ci invita a lasciare tutto e a seguirlo.

Basta riflettere sul fatto che tale divino comandamento può essere rispettato senza alcun sacrificio. Dio non ha imposto ardue fatiche da affrontarsi in suo onore: ha voluto semplicemente che trascorressimo i suoi giorni festivi liberi da cure terrene. Non è dunque indizio di sfrontata temerarietà il rifiuto di obbedienza?

Ricordiamo i terrificanti supplizi a cui Dio sottopose i violatori del comando, che sono narrati nel libro dei Numeri. Per non incappare in questa grave offesa a Dio, sarà bene ripetere mentalmente e molto spesso il monito "ricordati" e tenere costantemente dinanzi agli occhi gli insigni vantaggi che abbiamo detto scaturire dal rispetto dei giorni festivi.

Tocca a noi decidere e scegliere se accettare l'invito e seguire Gesù con il cuore pieno di gioia oppure rifiutare ed andarcene tristi, come il giovane ricco, perché tante altre cose ci attirano più di Dio.

4° Comandamento
"Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo". (Es 20,12)

L'Apostolo insegna: Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto. "Onora tuo padre e tua madre": è questo il primo comandamento associato a una promessa: "perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra" (Ef 6,1-3).
Onora il padre e la madre
Onorare il padre e la madre apre la seconda tavola della legge, quella che racchiude i comandamenti orientati alla carità verso il prossimo. Dio ci comanda l'amore verso chi ci ha generato, verso i genitori, mettendo quindi loro al primo posto nella lista dell'amore al prossimo, perché loro sono il prossimo più prossimo a noi. Sarebbe un'illusione voler bene alle persone lontane, dimenticandoci di quelle vicine. Come è possibile dividere il proprio pane con l'affamato, ospitare il misero senza ricovero, vedere un ignudo e vestirlo se poi il proprio cuore è refrattario all'amore verso i propri genitori, se non altro per la gratitudine di averci dato la possibilità di esistere?

I genitori hanno il diritto di essere amati in modo speciale, perché ci hanno dato la vita, perché sono i nostri benefattori, i nostri veri e autentici amici che ci aiutano nel cammino della vita. "Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare i dolori di tua madre. Ricordati che loro ti hanno generato; potrai ricambiarli per quanto hanno fatto?"
(Sir.7,27-28).

Onorare i genitori significa amarli, rispettarli, preoccupandoci di non causare loro dispiaceri e avere riconoscenza verso di loro per tutto l'amore che ci donano. Nella formula del comandamento è inserita la parola "onore", anziché quella di amore o di timore, benché i genitori debbano essere vivamente amati e temuti. Chi ama non sempre rispetta e obbedisce, e chi teme non sempre ama. Invece, quando si onora qualcuno, lo si ama e lo si rispetta. Fanno eco le esortazioni di san Paolo: "O figli, obbedite nel Signore ai vostri genitori, com'è giusto" (Ef 6,l). Dice infatti san Paolo: "La pietà giova a tutto, comprendendo in sé la promessa della vita presente e della futura"
(1 Tm 4,81).

Voler bene al padre e alla madre è una gioia, perché chi ama è benedetto dal Signore. "Onora tuo padre e tua madre. È questo il primo comandamento associato a una promessa, perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra" (Ef. 6,2-3). Facendo il bene ne gode il corpo e anche lo spirito, perché dove c'è il Signore vi è ogni sorta di grazia. Chi onora i propri genitori espia i peccati e accumula tesori celesti: "II Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati; chi riverisce la madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi riverisce il padre vivrà a lungo; chi obbedisce al Signore dà consolazione alla madre"
(Sir. 3.2-6).

II padre e la madre devono essere amati sempre, anche quando, per malattia o vecchiaia, non possono più amarci come vorremmo. Il vero figlio si riconosce nel momento in cui il genitore ha bisogno di lui. È una responsabilità che non bisogna sfuggire. Anzi, più loro hanno bisogno di noi, più noi dobbiamo aver cura di loro. Dice la Bibbia: "Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore. Poiché la pietà verso il padre non sarà dimenticata, ti sarà computata a sconto dei peccati. Nel giorno della tua tribolazione Dio si ricorderà di te; come fa il calore sulla brina, si scioglieranno i tuoi peccati. Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore, chi insulta la madre è maledetto dal Signore".
(Sir 3,12-16).

Su coloro che sono grati con i propri genitori si riversano le ricompense di Dio, invece, molti castighi sono riservati ai figli ingrati. Sta scritto: "Chi insulta il padre e fa fuggire la madre, è un figlio spudorato e turpe" (Prv 19,26); "Chi maledice suo padre e sua madre, la sua luce si spegnerà come quando fa buio" (Prv 20,20); "L'occhio che deride il padre e rifiuta l'obbedienza alla madre, lo strapperanno i corvi del torrente, lo divoreranno le aquile".
(Prv 30, 17).

Genitori e figli costituiscono la famiglia nella quale ognuno dovrebbe trovare una sicurezza, un affetto, un aiuto, una ragione, una speranza, un futuro. Perciò, al dovere dei figli di onorare i propri genitori, corrisponde il dovere dei genitori di amare i propri figli: "Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché ciò è giusto... E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma educateli, correggendoli ed esortandoli nel Signore".
(Ef 6,1-4).

La mamma, per un figlio, è la prima immagine della sposa che egli vorrebbe per sé. Il padre, per una figlia, ha il volto dello sposo che ella ha sempre sognato. Perciò è importante che i genitori siano reali testimoni di amore, di saggezza umana e spirituale, di fede, di gioia, di semplicità. Tuttavia può succedere che i figli siano il fallimento spirituale dei genitori ma non è sempre così. A volte da buoni genitori, possono esserci figli cattivi, e viceversa. Questo è il frutto della libertà del proprio agire ed ognuno è responsabile delle proprie azioni. "Colui invece che fa la verità viene alla luce, perché si riveli che le sue opere sono operate in Dio".
(Gv. 3,21).

"Padri! Non provocate i vostri figli, perché non si perdano di coraggio" (Col 3,21). Perciò occorre evitare l'eccessiva severità, ma è preferibile correggere anziché punire i propri figli. Tuttavia, molto spesso, accade che i figli siano sciupati dall'esagerata mitezza dei genitori. Da questa malsana indulgenza scaturisce l'esempio di Eli, sommo sacerdote, il quale, essendo stato troppo debole con la propria figliolanza, incontrò l'estremo castigo.
(1 Sam 4,18).

"Se uno dice: Io amo Dio e poi odia il proprio fratello, è mentitore: chi infatti non ama il proprio fratello che vede non può amare Dio che non vede. E noi abbiamo da lui questo comandamento; chi ama Dio ami anche il proprio fratello" (1 Gv 4,20-21). Analogamente, se non rispettiamo e non amiamo i genitori, cui dobbiamo, secondo Dio, tanto ossequio e che ci sono sempre al fianco, quale tributo di onore saremo mai capaci di offrire a Dio sommo e ottimo padre, che sfugge a ogni sensibile percezione?

"Allora la tua luce spunterà come l'aurora e le tue ferite ben presto guariranno; la tua giustizia ti camminerà davanti e dietro la gloria del Signore. Allora se chiami, il Signore risponderà, e alle tue grida egli dirà: Eccomi".
(Is 58, 8-9).
Torna in alto Andare in basso
https://bibbia.forumattivo.com
[Alberto]
Admin



Messaggi : 149
Data di iscrizione : 05.03.12

5.	10 COMANDAMENTI Empty
MessaggioTitolo: Re: 5. 10 COMANDAMENTI   5.	10 COMANDAMENTI EmptySab Apr 11, 2020 5:30 pm

5° Comandamento
"Non uccidere".
(Es 20,13).

"Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio".
(Mt 5,21-22).
Non uccidere
La vita è il dono più prezioso che il Signore ha dato all'uomo. Gli è stata affidata come un capitale da investire, per produrre frutti di vita eterna (Mt 25,14-30). La vita ha un valore immenso che solo l'uomo terreno possiede; non l'hanno neppure gli angeli celesti, poiché essi non hanno corpo. Attraverso il tempo della prova l'uomo ha la possibilità di guadagnarsi l'eternità della gloria.

La radicalità di questo comandamento è intimamente connessa con il tema dell'unione d'amore, della relazione d'amore, del rapporto tra Dio e l'umanità, tra ogni persona e chi ne è il prossimo e, comunque, con ogni umana creatura, fino a svelare, in Gesù, la realtà profonda di Dio stesso, eterna comunione d'amore del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Già Nell'Antico Testamento era proibita la vendetta, ossia rendere male per male: "non ti vendicherai né conserverai rancore contro i figli del tuo popolo" (Deut 19,18), sebbene "vendicare il diritto calpestato e ristabilire la giustizia" fosse un dovere. All'interno d'Israele la vita umana era protetta contro la legge cieca della vendetta illimitata, capace di distruggere famiglie e clan, fino ad arrivare a minacciare in questo modo l'esistenza dello stesso Popolo di Dio. E i profeti, nella loro predicazione prolungheranno, in senso positivo, la proibizione di uccidere, affermando che è un obbligo quello di contribuire positivamente a mantenere la vita del prossimo.

Gesù vuole sradicare la radice dell'assassinio: "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; infatti chi uccide è sottoposto a giudizio. Io invece vi dico: chiunque si adira con il suo fratello sarà sottoposto al giudizio. Chi dice al suo fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio. Chi dice pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna" (Mt 5,21-22). Con questa affermazione di Gesù, il comandamento "Non uccidere" diventa illimitato e riguarda tutti i rapporti tra gli uomini. Anche l'ira verso il proprio fratello equivale ad un omicidio perché è come dire "la tua presenza mi dà fastidio, sparisci dalla mia vista, voglio vederti morto".

Occorre dunque sradicare da dentro di sé tutto ciò che in un modo o nell'altro possa condurre all'assassinio, come l'ira, l'odio, il desiderio di vendetta, lo sfruttamento. Ma non si uccide solo nel corpo: si uccide anche con la maldicenza, quando per esempio si infrange la stima di una persona e si rovina il suo buon nome. Si uccide pure con la calunnia, con l'odio, l'invidia, la beffa, il disprezzo, l'inganno, l'offesa, la condanna, lo spergiuro, la critica, la derisione, il dispetto, la vendetta, la superbia, la cattiveria, il tradimento. Detto in altre parole, si osserva veramente il comandamento "Non uccidere" se si riesce a togliere dal proprio cuore qualsiasi sentimento che porta ad insultare il fratello. Ossia se si giunge alla perfezione dell'amore.

La vita umana è sacra, viene da Dio e appartiene a Lui, è il dono più grande che Dio ha fatto all'uomo, e uccidere è una mancanza di amore verso Dio. Pertanto il non uccidere, non deve essere considerato solo come un gesto attivo, ossia togliere la vita, ma tutto ciò che è contro la vita stessa, come qualunque tipo di omicidio, genocidio, eutanasia e il suicidio volontario, in sintesi tutto quello che va contro l'integrità della persona umana e tutto quello che offende la dignità personale.

Il comandamento non uccidere sta scritto, oltre che nelle tavole di pietra, anche nel cuore degli uomini ma sta di fatto, che nel cuore dell'uomo è successo qualcosa di tremendo e di pauroso, perché la storia umana è una sequenza infinita di uccisioni fisiche, morali, spirituali. Sta di fatto che, rotto l'equilibrio con Dio, rifiutata la Sua paternità, nel cuore dell'uomo è scoppiata la violenza. Dio ha detto a Caino e dice a ciascuno di noi: "il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dominalo!".
(Gen 4,7).

Dio ci chiederà conto della vita altrui: "Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo fratello" (Gn. 9,5).
L'accoglienza vera verso il quinto comandamento, richiede un impegno forte e deciso a favore della vita contro ogni forma di violenza, di ingiustizia, di sfruttamento, di emarginazione, di sofferenza provocata da altri, di uccisione fisica, psicologica e morale. "Avete inteso che fu detto agli antichi: non ucciderai; infatti chi uccide è sottoposto a giudizio. Io invece vi dico: chiunque si adira con il suo fratello sarà sottoposto a giudizio".
(Mt. 5,21-22).

L'esistenza è il primo bene, condizione di tutti gli altri beni, è evidente che togliersi l'esistenza, uccidersi, si presenta come un atto fra tutti, disumano e irragionevole. Bene lo avverte la coscienza comune nell'istintivo orrore che prova per il suicidio. Il suicido è grave lesione della carità verso se stessi, poiché, non solo in ciascun uomo, ma in ciascun essere la tendenza prima, più radicale e più profonda, è quella di conservarsi. Il suicidio è un grave peccato, grave quanto l'uccidere perché è contro la vita, ed è un'offesa a Dio perché, solo Lui ha il diritto esclusivo su ogni vita. Il suicida è colui che dispera nell'aiuto del Padre, pertanto non ha fede e non crede che Dio possa intervenire in suo soccorso. I problemi e le difficoltà, talvolta, opprimono e travolgono l'individuo spingendolo nell'angoscia e, solo la speranza può reggere alle tenebre del presente. La speranza poi, se non affonda le proprie radici nella fede in Dio è destinata ben presto a soccombere ed allora l'angoscia può diventare insopportabile e la paura può fare il resto, spingendo la creatura verso il baratro del nulla.

L'eutanasia è un omicidio nascosto sotto le sembianze della pietà, giustificato nel voler porre fine alla sofferenza in una creatura destinata a morire. L'uomo in questo caso si arroga il diritto di decidere di sopprimere una vita pur non conoscendo il fine di tanta sofferenza. Tutto ha un significato anche se, talora, non riusciamo a vederne i contorni. Tuttavia, se riconosciamo che Dio è il creatore e non abbandona mai le sue creature, allora dobbiamo lasciare a Lui il diritto di decidere per il nostro bene. La sofferenza vista in se stessa, non ha alcun significato, anzi, è un paradosso ma, se la incanaliamo nel bene più alto, allora possiamo scoprirne la ragione.

Da considerare c'è anche l'assassinio dello spirito che avviene quando si uccide la propria anima o quella del prossimo con la colpa mortale che estingue la grazia di Dio. "Ma colui che avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non avrà remissione in eterno, ma sarà reo di peccato eterno" (Mc 3,29). "Se uno vede il suo fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita; s'intende a coloro che commettono un peccato che non conduce alla morte. Ma vi sono peccati che conducono alla morte; per questi dico di non pregare".
(1lett. Gv. 5,16).

Né la ragione né la religione possono giustificare chi espone la sua vita per ragioni futili o, comunque, non abbastanza serie, come per gioco, per sport, per ambizione, per lucro. Del resto, anche la coscienza comune distingue l'ardimento dalla temerarietà, l'audacia dalla sconsideratezza.
6° Comandamento
"Non commettere adultero".
(Es 20,14; Dt 5,18)).

"Questo comandamento, ci chiede di rispettare il nostro corpo e ci invita a percorrere una strada che a volte è impervia e faticosa come un sentiero di montagna, porta a realizzare nella nostra vita la purezza: è una conquista molto impegnativa ma possibile.
(Mt 5,27-28).
Non commettere atti impuri
Se l'uomo offende Dio col peccato, lo fa, per lo più, attratto dal piacere. La difficoltà di regolare l'istinto del piacere è grande, specialmente nei riguardi del piacere procurato dalle sensazioni gustative e dalle percezioni tattili, e tra queste, la mancanza più grave è il vizio della lussuria.

La lussuria
è la forma più semplice per esprimere il proprio egoismo, questa è una tentazione che dura quanto la vita stessa. È la ricerca ingorda e disordinata del piacere corporale, è uno dei sette vizi capitali ed è la causa di tutti gli atti impuri condannati dal Signore, cominciando dall'adulterio.
"È un desiderio disordinato o una fruizione sregolata del piacere venereo. Il piacere sessuale è moralmente disordinato quando è ricercato per se stesso, al di fuori delle finalità di procreazione e di unione".
(Catechismo della Chiesa Cattolica 2351).

Libidine
è una voglia smodata del desiderio sessuale.

L'adulterio
è la forma più grave d'impurità sessuale e si commette quando un marito ha rapporti carnali con una donna coniugata, in quanto viola il proprio vincolo matrimoniale, come pure quando un individuo non coniugato ha rapporti con una donna sposata, entrambi compiono il peccato di adulterio. Chi non evita l'impudicizia alla fine cadrà nell'adulterio. Nella proibizione dell'adulterio è incluso il divieto di ogni genere d'impurità che può contaminare il corpo e che comprende ogni intima libidine dell'animo.

Nella Bibbia sono descritte le punizioni della libidine carnale, oltre l'adulterio. Nella Genesi, per esempio si legge della sentenza pronunciata da Giuda contro la nuora (Gn 38,24); nel Deuteronomio è formulato questo precetto: "tra le figlie d'Israele nessuna sia cortigiana" (Dt 23,17). Tobia esorta: "Guardati, figlio mio, da ogni atto impudico" (Tb 4,13). E l'Ecclesiastico dice: "Vergognatevi di guardare la donna peccatrice".
(Si 41,25).

Nel Vangelo Gesù Cristo dichiara che dal cuore si emanano gli adultèri e le azioni disoneste che macchiano l'uomo (Mt 15,19). L'apostolo Paolo bolla di frequente, con parole roventi, questo vizio, e altrove ribadisce: "Fuggite l'impudicizia!" (1Co 6,18). "Non immischiatevi con gli impudichi" (1Co 5,9); "In mezzo a voi, non siano neppur nominate l'incontinenza, l'impurità di ogni genere e l'avarizia" (Ep 5,3); "Disonesti, adulteri, effeminati e pederasti, non possederanno il regno di Dio".
(1Co 6,9).

Fuggite l'impudicizia; qualunque peccato l'uomo commetta, si svolge fuori del corpo, ma il fornicatore pecca sul proprio corpo (1Co 6,18). A quei di Tessalonica lo stesso san Paolo diceva: "Non abbandonatevi alle passioni come fanno i pagani" (1Th 4,5). Il ventre ripieno provoca la libidine, come disse il Signore: "State bene attenti che i vostri cuori non se intontiscano in dissipazioni, ubriachezze".
(Lc 21,34).

L'impurità
c'è quando si cerca il piacere carnale a tutti i costi, quando si corre fra le braccia di una meretrice, quando nel matrimonio si compie l'atto sessuale senza ordine, quando si facilitano la separazione e il divorzio, quando si genera una convivenza. Impurità è dimenticare che "sesso" non vuol dire solo godimento, ma principalmente affetto, comunione, gentilezza, bontà, ascolto, sensibilità, comprensione, carità.

Se l'uomo si regola secondo ragione in questo settore, allora è un uomo casto. Il cristianesimo ha riportato questa virtù alla sua radice interiore, esigendo, prima che la rettitudine delle opere, la moralità dell'intenzione, l'integrità della mente: "Fu detto non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Mt 5,27). Gesù si ricollegava con il genuino significato dei precetti mosaici. La legge mosaica, non solo col sesto comandamento diceva: "non commetterai adulterio", ma anche con il nono comandamento: "non desidererai la moglie del prossimo".
(Es 20,14-17).

La fornicazione
è l'unione carnale fra uomo e donna non sposati, così come i rapporti prematrimoniali e gli atti sessuali completi tra fidanzati.
• Lo stupro è la violenza sessuale ai danni di una persona indifesa.
• La pedofilia è l'abuso e lo sfruttamento dei minori a scopo di libidine.
• L'omosessualità è il rapporto fra persone dello stesso sesso, che la Bibbia condanna con queste parole: "Non giacere con maschio come si fa con una donna: è un abominio" (Lv 18,22).
• La prostituzione è la vendita a pagamento di prestazioni sessuali.
• L'incesto è l'unione carnale fra componenti di una stessa famiglia.
• La pornografia è la diffusione di stampa e video indecenti.
• La masturbazione è l'eccitazione volontaria degli organi genitali per provare piacere.
• L'onanismo sono gli atti sessuali incompleti per evitare la fecondazione (Gn 38,4-10).
L'impurità carnale è la via privilegiata di Satana per corrompere un'anima, poiché è la più facile. Perciò bisogna vegliare (Mt 26,41), perché può allontanare dalla fede e dalla devozione, corrompere corpo e anima, trascinare verso il piacere sfrenato, idolatrare la carne, rendere malvagi.

Per questo San Paolo ci esorta ad astenerci dalle cose impure, per entrare nel regno dei cieli e non essere come i pagani che non conoscono Dio. L'apostolo ci insegna a vincere le passioni della carne per pervenire alla nostra crescita spirituale: "Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi; lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie! Perché, sappiate bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolatri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce; il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate ciò che è gradito al Signore, e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente".
(Ef 5,3-11).

Non commettere atti impuri significa, in fondo, educarsi all'amore vero, che rispetta gli altri come figli di Dio, e se stessi come tempio dello Spirito Santo. La nostra sessualità, voluta dal Signore, è una potente fonte di energia, se vissuta in modo intelligente ed evangelico. Essa ci aiuta ad amare il nostro prossimo nella sua completezza umana e spirituale, ed è figura e anticipazione di quell'Amore che troveremo perfettamente appagato nell'eterna Luce del cielo.

La castità
significa vivere la sessualità secondo il progetto di Dio, evitando la malizia del cuore. La castità è avere nel cuore un amore grande che ci fa guardare alle cose e alle creature con lo sguardo puro di Dio. San Paolo ci parla anche d'impudicizia. Essa è il contrario della castità; è qualunque comportamento o atteggiamento, qualunque pensiero e desiderio che offende la santità e la bellezza del nostro corpo. Ci sono pensieri, parole, azioni, letture, spettacoli, divertimenti che offuscano la purezza del cuore. La castità evangelica è di tutti. Rende capaci di amare in modo completo e santo, nel pieno dominio del corpo, del cuore e della mente. Senza luce e senza grazia, l'uomo diventa un bruto e compie atti che generano disgusto, sprezzo di sé e del proprio partner, insoddisfazione, ira, turbamento di coscienza, agitazione.

Da sempre, i Padri della chiesa hanno speso parole per farci comprendere quanto grandi siano la turpitudine e il pericolo delle passioni sensuali, perché sono peccati che portano un vero flagello e causano la rovina.
7° Comandamento
"Non rubare".
(Es 20,15; Dt 5,19).

"Non rubare".
(Mt 19-18).
Non rubare
Il settimo comandamento rientra in quei precetti indispensabili per avere la vita eterna. Si legge nel Vangelo di Matteo: "Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso".
(Mt 19,17-19).

Il comandamento di non rubare è fondato su un principio che scende nell'intimo: "Non desiderare la casa del tuo prossimo... né alcuna delle cose sue" (Es. 20,17). Si tratta di una legge spirituale, che mira all'anima, sorgente dei pensieri e dei propositi. Secondo la frase del Signore: "Dal cuore partono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adultèri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze" (Mt.15,19). La giustizia deve essere, amata, vissuta nell'intimo del cuore, perché sia vissuta anche nelle opere. Occorre amare la giustizia per essere giusti. Il comportamento usuale di questo tempo, autorizza ad approfittare dell'ingenuità, debolezza, distrazione del prossimo per imbrogliarlo, al solo scopo del massimo guadagno economico.

Il rubare è propriamente un impossessarsi delle proprietà altrui contro la ragionevole volontà del padrone ed è un'offesa alla giustizia e, ancor più, alla carità. Il settimo comandamento proibisce di prendere o di tenere ingiustamente i beni e di arrecare danno al prossimo nei suoi beni in qualsiasi modo.

Il furto si può perpetrare in molti modi. Quello per eccellenza è la rapina, ma ci sono anche altre forme meno comuni come il non osservare pienamente i contratti, le convenzioni, gli obblighi professionali, sia con frode o per negligenza, sia per imperizia. Particolarmente facile è la tentazione quando si tratta di contratti commerciali, compra-vendite, locazioni, o di contratti professionali come ad esempio quelli per cure mediche o di avvocati.

Commettono furto anche quelli che carpiscono denaro con parole finte e simulate, o con falsa mendicità; anzi il peccato di costoro è più grave, perché aggiungono al furto la menzogna. Anche quelli che non danno la mercede dovuta agli operai sono rapinatori e San Giacomo li invita alla penitenza con queste parole: "Piangete, o ricchi, ululando sulle sciagure che vi piangeranno addosso".
(Gc 5,1).

Il furto non è solo di cose, di denaro, di proprietà, di lavoro. Esso può anche riguardare il pensiero, la libertà, il cuore, la fede, la pace, l'amore. Così, è furto levare l'onore a un uomo, la dignità a una donna, la tranquillità a un familiare, la fede a un credente, l'innocenza a un bambino, la paternità o la maternità a un nato, la speranza a un anziano, la moglie a un marito, l'affetto a un bisognoso.

Il pentimento implica la restituzione del mal tolto ed è l'unica garanzia del perdono di Dio. Non soltanto chi ha commesso il furto deve restituire il maltolto a chi ha derubato, ma anche tutti coloro che hanno partecipato al furto sono obbligati alla restituzione. Chi, potendo restituire il mal tolto non ridà, non può illudersi di essere perdonato del male fatto e di ottenere il perdono divino della sua colpa.

"Chi rubava, ormai non rubi più; piuttosto lavori operando con le proprie mani quel che è buono, per avere di che dare il necessario a chi soffre" (Ef 4,2-Cool. Esclama il profeta Amos: "Ascoltate, voi che calpestate il povero e fate perire i miseri della terra dicendo: Quando passerà il mese e venderemo le mercanzie? Allora potremo diminuire la misura, aumentare il siclo e usare stadere ingannevoli".
(Am 8,4-5).

Se abbiamo fatto un male a qualcuno, Dio ci ordina di riparare come possiamo al danno arrecato e di non farlo più (Gv 8,11). In questo modo otteniamo perdono dal Signore, perché, c'è vero pentimento, solo quando c'è buon proponimento. Così fece anche Zaccheo: "Se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto".
(Lc 19,Cool.

"Non vi affannate ad accumulare tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano, dove ladri scassinano e portano via. Accumulatevi tesori in cielo, dove tignola e ruggine non consumano, né ladri e scassinatori portano via. Infatti, dov'è il tuo tesoro, lì sarà pure il tuo cuore" (Mt 6, 19-21). Chi ruba, lo fa per procurarsi i mezzi per godere, ma la gioia procurata con mezzi illeciti, genera rimorso ed insoddisfazione nell'anima, inoltre, il denaro procurato ingiustamente, quasi sempre è speso malamente: "Badate di tenervi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è molto ricco, la su vita non dipende dai suoi beni" (Lc. 12,15). "Chi accumula ricchezze è il più povero dei poveri, perché non è padrone di se stesso: sembra un possessore, ma in realtà è dal denaro posseduto".
(Sant'Antonio di Padova).
8° Comandamento
"Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo"
(Es. 20,16).

"Fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il signore i tuoi giuramenti.
(Mt 5-33).
Non dire falsa testimonianza
L'ottavo comandamento proibisce di falsare la verità nelle relazioni con gli altri. La parola diventa falsa testimonianza, quando procura danno agli altri, come nel caso dei due anziani del popolo designati giudici che accusarono ingiustamente la giovane e bella Susanna, che aveva rifiutato di acconsentire di soddisfare i loro desideri, incolpandola di essersi adagiata con un giovane. Il popolo credette ai due malvagi e Susanna fu condannata a morte. Dio, però accorse in soccorso della giovane innocente attraverso l'intervento di Daniele, che riuscì a smascherare la menzogna dei due malvagi, i quali furono a loro volta, condannati a morte, mentre Susanna fu salva (Dn 13). Il vizio della lingua è molto diffuso e questo è l'unico peccato che sembra estendersi a tutti gli uomini e dal quale derivano mali infiniti.

Quanto più falsa è la testimonianza contro il nostro prossimo, tanto più è maledetta dal Signore. La bugia intrisa di malignità è condannata in modo severo: "Sei cose odia il Signore, sette ne detesta: occhi alteri, lingua bugiarda, mani che versano sangue innocente, cuore che ordisce trame malvagie, piedi solleciti a correre al male; testimone bugiardo che diffonde menzogne, chi provoca risse in mezzo ai fratelli". "Il perverso, uomo iniquo, va con la bocca distorta, ammicca con gli occhi, stropiccia i piedi e fa cenni con le dita. Cova propositi malvagi nel cuore, in ogni tempo suscita liti. Per questo improvvisa verrà la sua rovina, in un attimo crollerà senza rimedio".
(Prv 6,12-19).

Dio non sopporta il bugiardo e il maldicente per la malvagità del peccatore. La menzogna, come la bugia, può distruggere la stima, l'innocenza e rovinare la vita di una persona. Chi agisce è preda dell'odio, della vendetta, dell'avidità oppure dell'invidia. Guai all'impostore che alla menzogna, aggiunge la cattiveria! "Un testimone falso non rimarrà impunito, chi dice menzogne perirà" (Prv. 19,9). Dio vede, giudica, e prima o poi interviene: "il Signore ride dell'empio, perché vede arrivare il suo giorno".
(Sal. 36,13).

Il buono non è mai avido, quindi non ha bisogno di mentire per ottenere ciò che vuole o per volere ciò che non ha. Se Dio ci ha fatto il dono della parola è per usarla a fin di bene e non per farne un uso di offesa con la falsità, la maldicenza, l'ipocrisia, lo spergiuro e l'inganno. "L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore".
(Rm. 13,10).

In questo comandamento sono comprese due leggi: una che proibisce di dire falsa testimonianza; l'altra che comanda di pesare le nostre parole e le nostre azioni con la verità, eliminando ogni simulazione e menzogna.

La prima parte di questo comandamento, proibisce innanzitutto, la falsa testimonianza fatta in giudizio da chi ha giurato. In realtà, il testimone giura nel nome di Dio, prendendolo come garante della veridicità di quanto ha affermato, pur sapendo che Dio castigherà severamente i mentitori. "Io scatenerò la maledizione, dice il Signore degli eserciti, in modo che essa penetri nella casa del ladro e nella casa dello spergiuro riguardo al mio nome; rimarrà in quella casa e la consumerà insieme con le sue travi e le sue pietre".
(Zc. 4-4).

Gesù ci esorta a non giurare, ma ad avere un solo linguaggio: "sì" o "no", ossia a non essere ambigui e ipocriti: "Avete anche inteso che fu detto agli antichi: Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno" (Mt 5,33-37). "Razza di vipere come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? La bocca infatti esprime ciò che sovrabbonda dal cuore. L'uomo buono dal suo buon tesoro trae fuori cose buone, mentre l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori cose cattive" (Mt 12,34). Perciò, se è necessario mantenere casta la lingua, ancora più importante è mantenere puro il cuore. Evitiamo dunque di essere falsi e ambigui, mostrandoci veri nelle parole e negli atti, rifuggendo dalla doppiezza, dalla simulazione e dall'ipocrisia.

La bugia è da annoverarsi tra le false testimonianze, quand'anche si dica per falsa lode di qualcuno. Se ci sono anche le bugie buone, fatte a fin di bene per coprire un male, o per nascondere una verità che è bene tener segreta, per evitare un danno o per tranquillizzare una persona, tuttavia non bisogna farne un'abitudine, per non perdere fiducia e attendibilità. Come, infatti, si può credere a uno che racconta sempre bugie? La bugia è pur sempre un difetto ed è bene eliminarla il più possibile. Talora è meglio fare silenzio, perché dice il Signore: "Di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato".
(Mt 12,36-37).

Da questo comandamento è proibita non solo la falsa testimonianza, ma anche l'abitudine di denigrare gli altri, molte sciagure provengono da questa peste. Il comandamento, non solo vieta la falsa testimonianza, ma impone anche di dichiarare la verità. Chi nasconde la verità e chi dice menzogna, sono ambedue colpevoli; il primo perché non vuol giovare ad altri; il secondo perché desidera di nuocere. Nelle sacre Scritture il demonio è chiamato padre della menzogna: non essendo stato saldo nella verità, è menzognero e padre della menzogna.

Il danno principale della menzogna è che essa è quasi un'insanabile malattia dell'animo. Infatti, il peccato che si commette accusando qualcuno falsamente di una colpa o denigrando la fama e la stima del prossimo, non è rimesso se il calunniatore non dia soddisfazione dell'ingiuria a chi ha incriminato.

Chi dunque è in questo peccato, non può dubitare che sia condannato alle pene eterne dell'inferno. Né alcuno speri di poter ottenere perdono delle calunnie o della denigrazione fatta se prima non dia soddisfazione a colui, la cui dignità e fama egli ha denigrato in qualche modo, o pubblicamente in giudizio, o anche in adunanze private e familiari.

Pertanto tutti noi siamo chiamati alla sincerità e alla veracità nell'agire e nel parlare, a evitare la falsa testimonianza, lo spergiuro, la menzogna, il giudizio temerario, la maldicenza, la diffamazione, la calunnia, la lusinga, l'adulazione o la compiacenza, soprattutto se finalizzate a peccati gravi o al conseguimento di vantaggi illeciti. Una colpa commessa contro la verità comporta la riparazione, se ha procurato un danno ad altri.
9° Comandamento
"Non desiderare la moglie del tuo prossimo"
(Es. 20,17).

"Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore".
(Mt 5-28).
Non desiderare la donna d'altri
Questo comandamento riguarda l'intenzione del cuore e quindi riassume tutti i precetti della Legge. San Paolo afferma: "Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare i desideri della carne; la carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste".
(Gal 5,16-17).

"La lucerna del corpo è l'occhio. Quando il tuo occhio è semplice, anche tutto il tuo corpo è luminoso; ma se è cattivo, anche il tuo corpo è tenebroso. Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra" (Lc 11,34-35). È l'invidia che rende l'occhio cattivo, perché senza la rettitudine interiore, ogni atteggiamento e ciascuna parola sarà vana, poiché ciascuno è tentato dalla concupiscenza che lo attrae e lo seduce. La riduzione della persona cui dedicarsi in oggetto di libidine, può essere fatta da chiunque, perché la nostra fame e la nostra sete, nei rapporti con il prossimo, possono portare a comportamenti scaltri per approfittare dell'ingenuità e della debolezza del prossimo, per ingannarlo. Il desiderio precede sempre l'azione, come la volontà precede sempre l'opera, specialmente nel campo sentimentale: il desiderio, se accettato dalla mente, difficilmente può essere bloccato. Occorre quindi imporsi di non volere e cercare di avere a tutti i costi ciò che non ci appartiene. La prudenza, se messa in atto, ci aiuta a non sbagliare.

Questo comando si collega al sesto, nel quale, fra le altre mancanze, è condannato l'adulterio. Se, infatti, è peccato prendere la moglie di un altro, è peccato anche il desiderio di prenderla, poiché il voler compiere un'azione è appena di poco inferiore all'azione compiuta.

Il nono comandamento ci ordina di non desiderare la moglie del nostro prossimo. Molto spesso si passa dallo sguardo al desiderio, poi alla seduzione, all'accordo e infine all'atto. Come fece il re Davide con Betsabea, moglie di Uria. "Un pomeriggio Davide alzatosi dal letto, passeggiava sulla terrazza della reggia, quando vide dall'alto della terrazza una donna che si lavava. La donna aveva un aspetto molto bello. Davide mandò a prendere informazioni sulla donna e gli fu risposto: è Betsabea, figlia di Eliàm, moglie di Uria l'Hittita. Davide mandò messaggeri per prenderla. Lei andò da lui ed egli dormì con lei, che si era appena purificata dalla sua immondezza; poi fece ritorno a casa sua. La donna concepì e mandò a informare Davide: Sono incinta" (2 Sm. 11). Davide inviò poi Uria sul fronte della battaglia più dura affinché fosse ucciso e così avvenne. Il Signore gli mandò a dire attraverso il profeta Natan: "Ma ora non si allontanerà mai più la spada dalla tua casa".

Il Signore ci comanda di "non desiderare" perché conosce le nostre debolezze e il confine tenue tra desiderio e volontà. Non solamente l'atto compiuto, ma anche il desiderio di esaudirlo è peccato, perché s'inizia col desiderio, poi si prosegue con la seduzione, poi si esegue l'atto. Da uno sguardo impuro subentra la malizia nella mente che eccita, attraverso la fantasia, le brame del corpo; per questo occorre essere prudenti, casti e semplici come i bambini. "Allontana l'occhio dalla donna avvenente e non mirare le bellezze di un'estranea; molti ha sedotto la bellezza di una donna, il suo amore brucia come un fuoco. Non sederti assieme alla moglie di un altro, in sua compagnia non bere a una festa, perché la tua anima non le corra dietro e tu cada, insanguinato, nella perdizione".
(Sr. 9,8-9).

Il desiderio non è una colpa quando è buono e non offende nessuno. Dio vuole che impariamo a cercare il vero Bene, la vera Bellezza, la vera Felicità, il vero Amore. Il vero amore non è mai egoistico e ristretto, bensì generoso e aperto. Il vero amore non si costruisce nel ricevere, ma nel dare.

Non desiderare la donna d'altri significa anche non ridurre la persona da soggetto a oggetto. Questo peccato può verificarsi anche all'interno del matrimonio, quando un coniuge desidera l'altro solo come strumento per soddisfare la propria libidine.

Il nono comandamento richiede di vincere la concupiscenza carnale nei pensieri e nei desideri. La lotta contro tale concupiscenza passa attraverso la purificazione del cuore che presuppone la limpidezza delle intenzioni, la trasparenza dello sguardo, la disciplina dei sentimenti e dell'immaginazione con la pratica della temperanza.

L'obiettivo del comandamento è la fedeltà reciproca tra uomo e donna nel matrimonio, la loro fedeltà sarà completa solamente se sapranno essere fedeli l'uno all'altra nel pensiero e nel desiderio, e sapranno giungere a una trasparenza totale tra di loro.

Talvolta ci accorgiamo che dentro di noi, si svolge come una lotta tra le tendenze e i desideri dello Spirito, che ci mostrano il bene, e le tendenze della carne, che ci spingono a fare il male: è il combattimento spirituale. È il cuore, infatti, che bisogna purificare perché, come dice l'evangelista Matteo: "dal cuore provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adulteri, le prostituzioni" (Mt 15,19). E ancora Matteo dice: "Beati i puri di cuore perché vedranno Dio". I puri di cuore sono quelli che cercano di vivere la santità di Dio nella loro vita.

San Giovanni distingue tre tipi di smodato desiderio o concupiscenza: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia. La "concupiscenza", è ogni forma veemente di desiderio umano e il moto dell'appetito sensibile che si oppone ai dettami della ragione umana, genera disordine nelle facoltà morali dell'uomo e, senza essere in se stessa una colpa, inclina l'uomo a commettere il peccato. "Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore".
(Mt 5,28).

Il nono e il decimo comandamento costituiscono la verifica di tutti gli altri Comandamenti: chi li osserva veramente per convinzione, non può non osservare anche questi ultimi due, perché tutta la legge, ma in modo particolare tutti i Profeti, hanno richiamato alla fede del cuore contro le esteriorità.
10° Comandamento
"Non desiderare la casa del tuo prossimo... né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo".
(Es. 20,17).

"Là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore".
(Mt 6-21).
Non desiderare la roba d'altri
L'ammonimento di Dio si rivolge ai desideri legati non alle necessità ma all'invidia, all'ingordigia del possesso, all'avidità, alla cupidigia, che portano di conseguenza all'infelicità, all'odio e a coltivare la mala pianta dell'egoismo e della superbia. Tutto ciò porta lontano dall'amore e da Dio.

È importante saper apprezzare quello che gli altri hanno perché ci fa sentire umili, stimola la collaborazione e ci fa essere soddisfatti di quello che Dio ci ha dato. L'invidia è la porta verso l'infelicità, in quanto stimola enormemente il desiderio di possedere tutto ciò che hanno gli altri. La rabbia si scaglia allora verso il destino e verso Dio. "Perché non posso avere ciò che hanno gli altri più di me?". Sembra un'ingiustizia grave, un'offesa per quello che riteniamo giusto avere e l'orgoglio ferito, geme. La mente, ossessionata dalla gelosia, non si ferma su quello che già abbiamo e che, talvolta, è veramente tanto, così, il germe sottile dell'invidia ci toglie ogni serenità e gioia. Allora ci si dimentica di ringraziare Dio per tutto ciò che ci ha donato, ignorando che un giorno dovremo rendergli conto. Occorre ricordare che l'invidia è un vizio capitale, provocato dal desiderio smodato dei beni altrui, con la volontà di appropriarsene con mezzi illeciti e talora violenti.

L'invidia toglie la pace, fa perdere la stima degli altri e non permette di godere la comunione e l'armonia, rende avari, chiude gli occhi alle necessità dei fratelli, fa litigare e odiare. Può portare alla mancanza di carità, all'ingiustizia, all'offesa, all'odio.

Il desiderio quando è buono e onesto, è una fonte di energia e di progresso per la vita. Dio ci raccomanda solo di non desiderare a tal punto le cose degli altri da volercene appropriare ingiustamente. Ci invita a non desiderare il male che porta al peccato e che rovina la nostra anima. Occorre sempre vigilare con la ragione e la volontà su ogni desiderio perché potrebbe trasformarsi in avidità e in cupidigia.

Non bisogna voler appropriarsi dei beni degli altri, perché le cose materiali sono il mezzo della vita, non il fine. Il corpo è a servizio dell'anima, non l'anima a servizio del corpo. Chi desidera avidamente le cose del suo prossimo, si lascia prendere dagli affanni della vita e dimentica il grande valore della povertà. L'esaltazione della ricchezza e dell'apparenza inquinano il cuore dell'uomo, così come, l'indifferenza e la superbia, procurano nel mondo e nelle case sofferenza e divisione.

"Badate di tenervi lontano da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni". Poi disse loro una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio".
(Lc 12,15-21).

Gesù ci ammonisce: "Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarlo e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarlo né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché, dov'è il tuo tesoro, la sarà anche il tuo cuore" (Mt 6,19-21); e San Paolo aggiunge: "L'avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti" (1 Tm 6,10). Ed infine: "Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?".
(Mt 16,26).

Guai a chi è avido e ingiusto, che per ingordigia toglie di bocca il pane ai propri fratelli portando via il necessario della loro vita. Arriverà il giorno che ne dovrà rendere conto al Signore, già sapendo che Dio non sopporta l'avido e il corrotto.



Torna in alto Andare in basso
https://bibbia.forumattivo.com
 
5. 10 COMANDAMENTI
Torna in alto 
Pagina 1 di 1

Permessi in questa sezione del forum:Non puoi rispondere agli argomenti in questo forum.
BIBBIA :: LEGGE di DIO-
Vai verso: